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lunedì 11 febbraio 2013

Wulf and Eadwacer


Leodum is minum     swylce him mon lac gife
willað hy hine a
þecgan,    if he on þread cymeð
         Ungelic is us
Wulf is on iege,      ic on oþerre. 
Fæst is þæt eglond,      fenne biworpen. 
Sindon wælreowe      weras þær on ige; 
willað hy hine aþecgan,      gif he on þreat cymeð.
         Ungelice is us. 
Wulfes ic mines widlastum      wenum dogode. 
þonne hit wæs renig weder      ond ic reotugu sæt, 
þonne mec se beaducafa      bogum bilegde; 
wæs me wyn to þon,      wæs me hwæþre eac lað. 
Wulf, min Wulf,      wena me þine 
seoce gedydon,      þine seldcymas, 
murnende mod,      nales meteliste. 
Gehyrest þu, Eadwacer?      Uncerne eargne hwelp 
bireð wulf to wuda. 
þæt mon eaþe tosliteð      þætte næfre gesomnad wæs, 
                                                uncer giedd geador.




La traduzione

Per la mia gente è come un dono;
intendono ucciderlo se si presenta nel clan[1].
Il nostro destino è separato[2].
Wulf è su un’isola, io su un’altra.
Sicura è quell’isola, circondata da paludi.
Uomini crudeli e assassini sono su quell’isola;
intendono ucciderlo se si presenta nel clan.
Il nostro destino è separato.
Ho pensato con speranza al viaggio del mio Wulf,
nei giorni di pioggia sedevo disperandomi,

quando le forti braccia mi circondavano,
erano per me sia gioia che dolore.
Wulf! Mio Wulf, la mia speranza in te
mi ha reso malata, le tue rare visite
mi hanno resa ansiosa, non la mancanza di cibo.
Mi senti, Eadwacer? Il nostro vile cucciolo
portato dal lupo nel bosco.
Si può separare facilmente ciò che non era unito,
la nostra storia insieme.



Il testo


Fin dai primi tentativi di studio il testo di Wulf and Eadwacer ha sempre suscitato numerosi dubbi sia dal punto di vista lessicale che sintattico che interpretativo, per tale motivo annoverato inizialmente tra gli Indovinelli[3]. L’incertezza interpretativa ha dato vita a numerose versioni che tenterebbero di spiegarne gli eventi. 

Leodum is minum      swylce him mon lac gife; 
willað hy hine aþecgan,      gif he on þreat cymeð.  (vv. 1-2)


La vicenda si apre con quella che sembra una frase in sospeso: “Leodum is minum swylce him mon lac gife[4] non ha difatti referenti che lo precedono, rendendo l’esordio incerto. Inoltre, il termine lac ha suscitato numerosi dubbi e altrettante traduzioni: offerta, sacrificio, dono;  solo alcune di esse sono accettabili, nel contesto “dono” sembra la più plausibile in quanto solitamente quando si vuole esprimere il sacrificio o l’offerta si utilizzano verbi più solenni come offrian, bringan, beran, onbleotan, bebeodan piuttosto che gifan[5]. La mancanza iniziale di un referente ha portato in principio a pensare che il testo fosse un frammento la cui parte iniziale fosse andata perduta. Tuttavia, nella totale incertezza l’unica soluzione è cercare dei referenti nei versi successivi: “willað hy hine aþecgan, gif he on þreat cymeð” sembra darci alcune informazioni poiché hy potrebbe riferirsi all’unico sostantivo plurale nel primo verso (Leodum), tuttavia hine e he rimangono ancora senza referente – l’unica fievole relazione che è possibile stabilire è tra he e lac, rispettivamente un pronome singolare e un nome singolare (neutro)-.  Anche il terzo verso non sarà utile per dare un senso preciso ai primi due:

Ungelic is us. (v. 3)

Esso aggiunge us “noi” che mette la voce narrante in diretta connessione con qualcun altro. I versi successivi daranno alla vicenda una connotazione ben più specifica:

Wulf is on iege,      ic on oþerre. 
Fæst is þæt eglond,      fenne biworpen. 
Sindon wælreowe      weras þær on ige; 
willað hy hine aþecgan,      gif he on þreat cymeð.  (vv. 4-7)

Questi versi ci forniscono i referenti che mancavano nei primi, assieme a coordinate spaziali. Il pronome he 
del secondo verso si riferisce probabilmente a Wulf il quale, ci viene detto, si trova in un’isola circondata da paludi “Wulf is on iege, ic on oþerre. / Fæst is þæt eglond, fenne biworpen.”. Nei versi successivi veengono definitivamente chiarite le intenzioni dei componenti del clan, il verbo aþecgan poteva essere portatore di due significati: “dar da mangiare” o “uccidere”[6], ma questa volta unito a wælreowe weras “uomini crudeli e assassini” fornisce una chiara connotazione.

Ungelice is us. (v. 8)

Questo verso richiama evidentemente il terzo, tuttavia sussiste una minima differenza: ungelic  è infatti un aggettivo, ungelice è un avverbio. L’utilizzo di us al posto del duale uncer (utilizzato nei versi 16 e 19) fa inoltre supporre che i referenti siano volutamente più di due, rimanendo tuttavia indefiniti[7].

Wulfes ic mines widlastum      wenum dogode. 
þonne hit wæs renig weder      ond ic reotugu sæt, 
þonne mec se beaducafa      bogum bilegde; 
wæs me wyn to þon,      wæs me hwæþre eac lað.   (v. 9-12)

Con i versi 9-12 si raggiunge il massimo del pathos. Questi versi sono inoltre importanti perché ci forniscono l’identità della voce narrante:  lo hapax reotugu   contenuto nel v. 10  è difatti un nominativo femminile. La donna dunque segue a descrivere la sua disperazione “þonne hit wæs renig weder ond ic reotugu sæt” e la presenza indefinita di braccia forti che al tempo stesso la circondano di gioia e di dolore “mec se beaducafa bogum bilegde; / wæs me wyn to þon, wæs me hwæþre eac lað”.

Wulf, min Wulf,      wena me þine 
seoce gedydon,      þine seldcymas, 
murnende mod,      nales meteliste.  (vv. 13-15)

La donna descrive la necessità della presenza di Wulf “Wulf, min Wulf, wena me þine”, non è la fame a indebolirla e a renderla malata “nales meteliste”, ma il dolore dell’attesa “seoce gedydon, þine seldcymas”.


Gehyrest þu, Eadwacer?      Uncerne eargne hwelp 
bireð wulf to wuda.     þæt mon eaþe tosliteð      
þætte næfre gesomnad wæs,     uncer giedd geador.   (vv. 16-19)

Nei versi successive si ha una cesura, il soggetto al quale si rivolge la donna non è più Wulf ma qualcuno che è chiamato Eadwacer “Gehyrest þu, Eadwacer? seguitando a parlare, forse in senso allegorico, di un loro cucciolo (forse un figlio) che viene trasportato dal lupo nel bosco “Uncerne eargne hwelp / bireð wulf to wuda.”.  Il poemetto si chiuderà con la frase enigmatica “þæt mon eaþe tosliteð þætte næfre gesomnad wæs” a sottolineare il sentimento di rassegnazione che circonda la vicenda “uncer giedd geador”.



Interpretazioni

L’interpretazione maggiormente accettata[8] dai critici vedrebbe nella vicenda la storia di una donna tenuta prigioniera in un’isola e sposa di Eadwacer, che lei non ama. Le sue affezioni vanno invece a di Wulf, un fuorilegge esiliato.


Un’altra interpretazione vedrebbe invece la situazione capovolta: la donna è stata allontanata dalla sua gente poiché moglie di Wulf, un esule. Eadwacer è il suo guardiano che intanto ha instaurato una relazione con lei (i piani temporali dei vv. 9-12 sono difatti confusi dai þonne, se i vv. 10-11 fossero delle temporali coordinate l’azione avrebbe luogo nello stesso periodo: mentre Wulf era in esilio. Le braccia che cingono la donna sarebbero dunque quelle di Eadwacer). 
Questa versione sarebbe supportata dalla teoria che attribuirebbe funzione connotativa ai nomi dei personaggi. Wulf dunque non sarebbe solo un nome, ma metaforicamente rimanderebbe al concetto di fuorilegge. Allo stesso modo, il nome Eadwacer presenta delle caratteristiche connotative specifiche. La prima parte de nome “ead” è anche un sostantivo che rimanda al concetto di “prosperità, ricchezza” mentre la seconda parte potrebbe essere ricondotta all’aggettivo “wacor”[9] che rimanda al concetto di “vigile, vigilante”. Nella mente dell’ascoltatore o del lettore questi nomi avrebbero dunque formato un quadro ben specifico: Wulf un fuorilegge, Eadwacer colui a guardia dei beni, forse la donna stessa.

La connotazione di Wulf come fuorilegge potrebbe sembrare forzata ma trova riscontri sia in area anglosassone che norrena. Nella Völsungasaga e più specificatamente nel Lamento di Signi, si utilizzano i termini an. ulfr vargr per designare Sigi, un antenato di Sigmund, il quale si era macchiato della colpa di aver assassinato uno schiavo[10]. Inoltre, nella sesta legge di Edward il Confessore è possibile osservare come la testa di un fuori legge sia paragonata a quella di un lupo.


“Si postea repertus fuerit et tenerit possit, vivus regi reddatur, vel caput ipsius si se defenderit; lupinum enim caput geret a die ut lægacionis, quod ab Anglis wluesheved nominatur. Et hæc sententia communis est de omnibus utlagis” [11]

Sempre in area norrena troviamo dei riferimenti al figlio di un fuorilegge descritto come vagrdropi “resti di lupo”[12]. Secondo questa teoria il cucciolo sarebbe dunque figlio di Wulf, non di Eadwacer.

Connessioni con The Wife’s Lament, Guðrúnarkviða in forna

Il testo di Wulf and Eadwacer presenta numerosi parallelismi con quello di The Wife’s Lament e della Guðrúnarkviða in forna ma allo stesso tempo se ne discosta su diversi punti. Se difatti negli ultimi due è possibile riscontrare un periodo di felicità che precede il capovolgimento della vicenda, nell’elegia qui analizzata non si ha nessun riferimento al periodo precedente se non in modo velato o ambiguo nel vv. 11-12 þonne mec se beaducafa bogum bilegde; / wæs me wyn to þon, wæs me hwæþre eac lað - il quale, come abbiamo potuto vedere potrebbe riferirsi anche a un periodo successivo all’esilio di Wulf - e in tutti i casi si riferirebbe al ricordo di una gioia velata di dolore.
Un punto di stretto contatto con la Guðrúnarkviða e con la tradizione nordica in generale possiamo individuarlo nella dimostrazione del dolore: l’aggettivo reotig >viene fatto rientrare all’interno del campo semantico del pianto. Il corrispettivo nordico di questo termine “rjóta” tuttavia ha una connotazione ben più definita, il cui concetto si rifà piuttosto al suono che alle lacrime,  quindi più a un pianto disperato, come i cieli tempestosi di cui si parla in questo breve passo del Beowulf:

1375   lað gewidru,   oþðæt lyft ðrismaþ
           roderas  rēotað

I testi sono messi in relazione anche dal complotto o odio dei parenti nei confronti degli amanti, i vv. 6-7 Sindon wælreowe weras þær on ige; /willað hy hine aþecgan, gif he on þreat cymeð. non fanno sorgere nessun dubbio sulle intenzioni malevole del clan, ma diversamente da quello che accade nella Guðrúnarkviða,  a questo odio non corrisponde nessun senso di vendetta da parte della donna, la quale, come la voce narrante di The Wife’s Lament accetta l’esilio e la distanza con triste rassegnazione, i versi a riguardo sono espliciti Ungelice is us e la rassegnazione è ancora più evidente in þæt mon eaþe tosliteðþæt te næfre gesomnad wæs, uncer giedd geador.

Brevi riflessioni finali

L’approccio a un testo come Wulf and Eadwacer non può che essere difficoltoso: le numerose ambiguità e la mancanza di informazioni certe danno vita unicamente a speculazioni. Tuttavia, proprio queste caratteristiche potrebbero aver dato vita alla spinta creativa che ha portato alla scrittura di tale testo, vista anche la sua collocazione immediatamente precedente a quella degli Indovinelli. Ma anche questa è una speculazione.

Bibliografia


Baker, P. S., The Ambiguity of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Studies in Philology>> 78, (1871).
Danielli, S., Wulf, min Wulf, <<Neophilologus>> 91, (2007).

Godden, M., Lapidge M. (eds.), The Cambridge Companion to Old English Literature, Cambridge University Press, Cambridge, 1991.

Lehmann, R. P. M., The Metrics and Structure of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Philological Quarterly>> 68, (1969).

Schofield, W. E., Signy’s Lament, <<PMLA>> 17, (1902).

Thorpe, B., Codex Exoniensis: A Collection of Anglo-Saxon Poetry, from a Manuscript in the   Library of the Dean and Chapter of Exeter, London, 1842.



[1] Þred può essere anche tradotto come “gruppo di uomini”.
[2] La traduzione è volutamente resa in questo modo, il senso letterale “noi siamo diversi” è portatore di ulteriore ambiguità. .
[3] Primo tentativo di interpretazione in assoluto da parte di Benjamin Thorpe nel 1842. Thorpe descrive il suo sbigottimento nel trovarsi davanti a questo testo << Riddle I.- Of this I can make no sense, nor am I able to arrange the verses.>>. Cfr. B. Thorpe, Codex Exoniensis: A Collection of Anglo-Saxon Poetry, from a Manuscript in the Library of the Dean and Chapter of Exeter, London, 1842, p. 527.
[4] Traduzione “Per la mia gente è come un dono”.
[5] Cfr. R. P. M. Lehmann, The Metrics and Structure of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Philological Quarterly>> 68, (1969), p. 157.
[6] P. S. Baker, The Ambiguity of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Studies in Philology>> 78, (1871), pp. 42-43.
[7] P. S. Baker, op. cit., p. 45.
[8] Avanzata da Bradley nel 1888.
[9] Sebbene finisca in –r non può rimandare al nomen agentis poiché in questo caso risulterebbe *wacere, del quale inoltre non si ha attestazione. P. S. Baker, op. cit., p. 49.
[10] Cfr. W. E., Schofield, Signy’s Lament, <<PMLA>> 17, (1902), pp. 262-295.
[11] Cfr. S. Danielli, Wulf, min Wulf, <<Neophilologus>> 91, (2007), p. 507.
[12] Letteralmente “ciò che il lupo ha lasciato cadere”.


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